Il 6 maggio di ogni anno, si svolge il giuramento delle nuove reclute che entrano a far parte del corpo delle Guardie Svizzere.
Lo scorso 6 maggio 2006, il giuramento si è svolto eccezionalmente in Piazza San Pietro (anzichè nel cortile di San Damaso), in occasione del cinquecentenario della fondazione del corpo pontificio.
Posto qui di seguito la cronaca di quel giorno.
Città del Vaticano, 6 maggio 2006 – Telecamere e macchine fotografiche invadono Piazza San Pietro e la zona circostante; i fedeli ed i curiosi iniziano a distribuirsi per la piazza, qualcuno cercando un posto migliore per assistere meglio alla cerimonia, qualcun altro per assicurarsi un posticino vicino ad una telecamera e ottenere il suo piccolo momento di gloria televisiva. Le bandiere del Vaticano e del giubileo sventolano incessantemente e, circondati di gente che parla in tedesco, ci si sente per un attimo stranieri in patria.
Agli angoli ed agli ingressi della piazza ci sono le guardie svizzere in servizio, in uniforme di gala naturalmente, con una particolare fierezza ed un sorriso celato quasi per dovere, che non riesce a nascondere però la loro emozione in un giorno davvero importante, il giorno in cui, quasi cinquecento anni prima, 147 loro predecessori si immolarono per seguire con coraggio l’impegno di fedeltà alla Chiesa, difendendo, durante il Sacco di Roma, Papa Clemente VII ed i Cardinali dalle truppe dell’imperatore Carlo V di Borbone.
Il chiacchierio della folla è incessante ma si riescono ad udire senza problemi anche le meravigliose note intonate dalla banda dell’Esercito Svizzero, disposto proprio sotto il sagrato della basilica; grazie ai maxi schermi disposti sulla piazza riusciamo anche a vedere, a sbirciare, cosa succede dentro il quartiere svizzero, dove le giovani reclute si stanno preparando al loro grande momento, indossando la variopinta divisa e la lucente corazza di ferro.
Alle 16:30 in punto gli squilli di tromba annunciano l’inizio della cerimonia, facendo calare un silenzio quasi surreale in tutta la piazza, pronta però ad accogliere le reclute che a breve giureranno sulla bandiera, dinanzi a S.E. Mons. Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato Vaticana, al loro Comandante e soprattutto dinanzi a parenti ed amici.
Mi avvicino ad un giovane alabardiere in servizio al quale, durante un attimo di pausa, chiedo se prova emozione nel vedere, ma soprattutto nell’udire quella formula che anch’egli anni addietro pronunciò e che adesso risuonerà di nuovo nelle sue orecchie; la sua risposta è un sorriso, fiero e sincero e poche semplici parole in un italiano un po’ stentato: “le parole del giuramento me le ripeto ogni mattina prima di andare al lavoro”.
Arrivano le reclute, vengono passate in rassegna e ricevono gli ordini del vice comandante; la folla continua a mantenere il massimo silenzio e rispetto per la solenne cerimonia, interrompendo con dei fortissimi applausi soltanto in poche occasioni, come quando il comandante della Guardia Svizzera, il Col. Maeder, ricorda che, pur trattandosi di un giorno di festa, non si può non pensare ai militari italiani caduti pochi giorni prima a Nassiriya e a Kabul .
L’emozione domina su tutti, soprattutto tra le trentatré reclute che, ad una ad una, dopo esser state chiamate per nome ed aver battuto l’alabarda sul terreno, si avvicinano alla bandiera toccandola con una mano ed indicando il numero tre con l’altra (il numero tre indica la SS. Trinità, ndr), pronunciando, chi in tedesco, chi in francese, la formula di fedeltà “al Sommo Pontefice Benedetto XVI ed ai Suoi Legittimi Successori”.
Al contrario degli altri trentuno camerati, gli alabardieri Panzolini e Serrago pronunciano la formula in italiano, come segno di riconoscenza alla loro nazione d’origine (nonostante siano cittadini svizzeri), ricevendo, al termine, l’applauso congiunto di tutta la piazza, che non manca di esser presente con un incoraggiante battito di mani anche quando un altro giovane alabardiere, preso dall’emozione, dimentica parte della formula.
Al termine della cerimonia il drappello lascia il sagrato della Basilica, accompagnato dai rulli dei tamburi e dalle note della marcia “Arosa” eseguite dalla banda del Corpo, incamminandosi lungo la piazza per rientrare nel quartiere svizzero in Vaticano.
Gli applausi della gente sono incessanti, presenti più che mai in un giorno che rimarrà nella storia della Chiesa e che, indelebile, resterà soprattutto nel cuore degli svizzeri, i quali, al termine della loro grande festa, sventolando ancora una volta le bandiere e indossando spille, cappellini e sciarpe commemorative, raggiungeranno i loro figli, i loro parenti ed i loro amici che hanno giurato di diventare e rimanere, per tutta la vita, i grandi e devoti “soldati” del Papa e della Chiesa, pronti anche alla morte pur di tener fede al loro impegno preso dinanzi a Dio.
Fabio Marchese Ragona
Agli angoli ed agli ingressi della piazza ci sono le guardie svizzere in servizio, in uniforme di gala naturalmente, con una particolare fierezza ed un sorriso celato quasi per dovere, che non riesce a nascondere però la loro emozione in un giorno davvero importante, il giorno in cui, quasi cinquecento anni prima, 147 loro predecessori si immolarono per seguire con coraggio l’impegno di fedeltà alla Chiesa, difendendo, durante il Sacco di Roma, Papa Clemente VII ed i Cardinali dalle truppe dell’imperatore Carlo V di Borbone.
Il chiacchierio della folla è incessante ma si riescono ad udire senza problemi anche le meravigliose note intonate dalla banda dell’Esercito Svizzero, disposto proprio sotto il sagrato della basilica; grazie ai maxi schermi disposti sulla piazza riusciamo anche a vedere, a sbirciare, cosa succede dentro il quartiere svizzero, dove le giovani reclute si stanno preparando al loro grande momento, indossando la variopinta divisa e la lucente corazza di ferro.
Alle 16:30 in punto gli squilli di tromba annunciano l’inizio della cerimonia, facendo calare un silenzio quasi surreale in tutta la piazza, pronta però ad accogliere le reclute che a breve giureranno sulla bandiera, dinanzi a S.E. Mons. Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato Vaticana, al loro Comandante e soprattutto dinanzi a parenti ed amici.
Mi avvicino ad un giovane alabardiere in servizio al quale, durante un attimo di pausa, chiedo se prova emozione nel vedere, ma soprattutto nell’udire quella formula che anch’egli anni addietro pronunciò e che adesso risuonerà di nuovo nelle sue orecchie; la sua risposta è un sorriso, fiero e sincero e poche semplici parole in un italiano un po’ stentato: “le parole del giuramento me le ripeto ogni mattina prima di andare al lavoro”.
Arrivano le reclute, vengono passate in rassegna e ricevono gli ordini del vice comandante; la folla continua a mantenere il massimo silenzio e rispetto per la solenne cerimonia, interrompendo con dei fortissimi applausi soltanto in poche occasioni, come quando il comandante della Guardia Svizzera, il Col. Maeder, ricorda che, pur trattandosi di un giorno di festa, non si può non pensare ai militari italiani caduti pochi giorni prima a Nassiriya e a Kabul .
L’emozione domina su tutti, soprattutto tra le trentatré reclute che, ad una ad una, dopo esser state chiamate per nome ed aver battuto l’alabarda sul terreno, si avvicinano alla bandiera toccandola con una mano ed indicando il numero tre con l’altra (il numero tre indica la SS. Trinità, ndr), pronunciando, chi in tedesco, chi in francese, la formula di fedeltà “al Sommo Pontefice Benedetto XVI ed ai Suoi Legittimi Successori”.
Al contrario degli altri trentuno camerati, gli alabardieri Panzolini e Serrago pronunciano la formula in italiano, come segno di riconoscenza alla loro nazione d’origine (nonostante siano cittadini svizzeri), ricevendo, al termine, l’applauso congiunto di tutta la piazza, che non manca di esser presente con un incoraggiante battito di mani anche quando un altro giovane alabardiere, preso dall’emozione, dimentica parte della formula.
Al termine della cerimonia il drappello lascia il sagrato della Basilica, accompagnato dai rulli dei tamburi e dalle note della marcia “Arosa” eseguite dalla banda del Corpo, incamminandosi lungo la piazza per rientrare nel quartiere svizzero in Vaticano.
Gli applausi della gente sono incessanti, presenti più che mai in un giorno che rimarrà nella storia della Chiesa e che, indelebile, resterà soprattutto nel cuore degli svizzeri, i quali, al termine della loro grande festa, sventolando ancora una volta le bandiere e indossando spille, cappellini e sciarpe commemorative, raggiungeranno i loro figli, i loro parenti ed i loro amici che hanno giurato di diventare e rimanere, per tutta la vita, i grandi e devoti “soldati” del Papa e della Chiesa, pronti anche alla morte pur di tener fede al loro impegno preso dinanzi a Dio.
Fabio Marchese Ragona
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